- COM'E' NATA LA NOSTRA PROFESSIONE? -
UNA PROFESSIONE ATTRAVERSO I SECOLIAi primordi l’uomo avvertì impellente il bisogno di rappresentare con mezzi rudimentali – prevalentemente sulla pietra – segni di rappresentazione figurativa, sia pure approssimativamente geometrica, di aree recintate ed abituri dell’epoca.Nasceva così inconsapevolmente, per chi dava inizio a tale rappresentazione, il futuro agrimensore, poi Geometra. E, in tale inconsapevolezza, si dava inizio alla formulazione delle prime regole del vivere sociale poi regolate, con l’avvento delle civiltà greca e romana, con quelle che restano le “fonti del diritto”. NELLE ANTICHE CIVILTA’ ORIENTALIil compito di misurare la terra si appalesò quanto mai necessaria.Nel trattato “profilo storico di una professione” del Prof. Emanuele Luciani e Geom. Gianni Ainardi, è testualmente riportato…. …le antiche tradizioni concordano nel considerare l’Egitto come patria dell’agrimensura, di un'attività che, come vedremo, si avvale fin dall’inizio di conoscenze scientifiche e di capacità tecniche. A favorirne la nascita sarebbero state le inondazioni del Nilo: l’acqua avrebbe, infatti, confuso, con i suoi periodici straripamenti, i confini fra terreno e terreno, sconvolgendo ogni assetto precedente. Da qui la necessità di misurare tutto daccapo, ed il conseguente bisogno delle conoscenze necessarie a farlo. A ciò si sarebbe aggiunta la sgradevole ma inevitabile esigenza di stabilire con esattezza i tributi dovuti allo stato e perciò l’opportunità di possedere un a conoscenza precisa delle proprietà per la quale, oltre al saper misurare, è richiesta anche l’abilità nello stimare. Si comprende perciò l’importanza dell’agrimensore nell’antico Egitto. Di lui restano anche alcune figurazioni: vi compare rappresentato mentre procede impugnando corde suddivise da nodi ed in compagnia degli scribi, pronti a registrare il risultato dei suoi calcoli. L’agrimensore egizio non manca anche in queste immagini di una dignità che potremmo dire sacerdotale. Non a caso le corde di cui si serve sono ornate da una testa di ariete, simbolo appunto della sacralità della sua funzione. Gli agrimensori, come abbiamo visto, sono soprattutto dei tecnici: calcolano, costruiscono, stimano, misurano. Ma quale sia la vastità e lo spessore delle loro conoscenze teoriche, è difficile stabilire. Secondo un’idea largamente condivisa dagli storici della scienza, le antichità orientali sarebbero state caratterizzate da un grado di conoscenza scientifica elevato, ma prevalentemente diretto a fini pratici. La capacità di compiere passi decisivi nel campo della scienza vera e propria, quella mossa cioè più dal desiderio di conoscere che da quello di agire, sarebbe stata una caratteristica tipica della civiltà greca: sarebbe questo, in altre parole, quello che si è soliti chiamare il “miracolo greco”. L’AGRIMENSURA A ROMAIl diritto di possesso della proprietà incrementa lo sviluppo della tecnica di misurazione del terreno e la suddivisione da riportare in “mappa agrimensoria” su materiale vario (legno, bronzo, ecc.); per la rispondente validità giuridica, viene evidenziata, una rappresentazione consistente in un reticolo di particelle dette centurie, dove ogni riquadro è pari a 50 ettari corrispondenti a 200 iugeri romani.Per tale attività viene costruito uno dei primi strumenti: “la groma” per l’orientamento e la configurazione dell’angolo retto, nonché altri strumenti come la “dioptra” e “l’odometro”- Nel riflesso sociale e corporativo dell’epoca imperiale, gli agrimensori, per l’appunto, formano una corporazione posta al servizio dello Stato, dando inizio all’attività professionale. NEL MEDIOEVO E NEL CINQUECENTONel successivo periodo medioevale, dopo la caduta dell’impero romano, con la decadenza letteraria e scientifica – il così detto periodo di decadenza ed oscurantismo culturale – anche l’agrimensura segnò il passo e – come asserisce il Luciani – per ritrovare una vera e propria rinascita dell’agrimensura, bisogna attendere il cinquecento, con l’alto contributo scientifico propinato da personaggi illustri: Luca Pacioli, Francesco Feliciano e Nicolò Tartaglia.Luca Pacioli pubblica, proprio alla fine del Quattrocento, un libro (“Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità”) in cui affronta problemi di geometria pratica, diffondendosi sui vari metodi necessari per procedere alle più disparate misurazioni. Il fatto costituisce un altro segno del permanere di quella frattura fra teoria e pratica di cui è fatto precedentemente cenno. Una frattura, cui non è estranea la tendenza di molti studiosi del tempo a considerare con un certo disprezzo tutto ciò che appartiene al campo di attività di uomini, magari abili, ma privi di adeguate basi culturali, quali sono, all’epoca, la maggior parte degli agrimensori. Francesco Feliciano, veronese, anzi, per essere precisi, di Lazise, pubblica, nel 1518, il primo testo in cui si fa cenno dello squadro. All’epoca viene dato un titolo curioso “Libro di Arithmetica e Geometria speculativa e praticale, intitolato: Scala Grimaldelli”. Quest’ultima espressione (“Scala Grimaldelli”) è così spiegata dallo stesso Feliciano: “perché con la scala se ascende in alto e con lo gromaldello se apre li lochi serrati e chiusi”. E proprio lo squadro costituisce per lui uno degli strumenti fondamentali per “ascendere in alto” e per risolvere i problemi di cui si occupa, che sono, come egli stesso ricorda, “misurare terre, feni, biave, vini, muri, boschi paludi e livelar acque e fiumi e simili cose”. Nicolò Tartaglia non si limita a nominare lo squadro, ma lo descrive, precisando la tecnica con cui servirsene e con cui verificarne l’esattezza. Inoltre il Tartaglia, con l’applicazione della bussola alla topografia, trasforma lo squadro in un grafometro e benché proponga alle sue ricerche scopi di carattere militare, gli agrimensori sono pronti ad utilizzare per migliorare le loro tecniche di misurazioni. Il Seicento, come riferisce sempre il Luciani, è secolo decisivo per la nascita della scienza moderna, il Seicento è contraddistinto da notevoli progressi anche nel campo dell’agrimensura. Tuttavia, in questo specifico settore, non si verificano trasformazioni simili a quelle del secolo precedente. Nulla perciò di paragonabile alla “rivoluzione” del Cinquecento, ma piuttosto un ampliamento ed uno sviluppo delle conquiste già realizzate. In estrema sintesi possiamo qui considerare di quel secolo due aspetti: uno riguardante gli strumenti, e l’altro quella che possiamo definire una novità nel campo delle pubblicazioni di agrimensura. Sul piano degli strumenti, il fatto nuovo viene dal cannocchiale, un’invenzione la cui importanza in campo scientifico è facilmente valutabile anche solo facendo riferimento a Galilei ed alle sue scoperte. Ma il cannocchiale si presta anche a fondamentali innovazioni nel campo dell’agrimensura, allorché, nella seconda metà del Seicento, un professore dell’Università di Bologna, Geminiano Montanari, costruisce il primo “cannocchiale distanziamento”, un cannocchiale cui viene applicata una serie di fili paralleli: dal numero di fili compresi in un’immagine di altezza nota, si può dedurre la distanza. Successivi perfezionamenti, apportati nel secolo dopo, dall’inglese William Green, e, ai primi dell’Ottocento, dall’ottico tedesco Georg Reinchenbach e da uno studioso italiano, Ignazio Porro, permetteranno di rendere lo strumento affidabile e di semplificare le operazioni degli agrimensori. La necessità poi di porre un po’ d’ordine nella professione, appare anche dalla confusione terminologica che vi regna. Dapprima si usano parole diverse (“agrimensore”, “geometra”, “perito pubblico”) per indicare persone che svolgono più o meno le stesse funzioni. Solo più tardi ci si uniforma sul termine di “perito agrimensore”. Ma al di là delle questioni di forma, ciò che conta è naturalmente la sostanza, ossia il grado di conoscenze e di capacità di cui dare prova ogni aspirante alla professione.
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